Una volta, nelle famiglie meno abbienti di Scalea e degli altri paesini della "Riviera dei Cedri", era uso farsi delle scorte di fichi secchi.
I fichi, raccolti in estate (di solito agosto),
venivano messi ad essiccare su dei ripiani costruiti con le canne spaccate e
incrociate tra loro (i cannizzә).
Un parte veniva bollita per estrarne il miele (u
melә i fichә), un’altra parte era destinata alla preparazione con
altri ingredienti naturali quali cedro, noci e mirtillo:
“i jettә” erano i fichi infilati in bastoncini di canna
(detti scorpari) della lunghezza di circa 20 cm;
- “i pizzillottә” erano fichi di piccolo calibro
(detti anche fichi minutille) che venivano schiacciati e infilati in ramoscelli
di mirtillo (a murtilla) che venivano richiusi in modo da formare un cerchio
del diametro di 6/7 cm;
- “i crucette” le più ricercate e speciali, anche
per gli ingredienti usati, come cedro e noci: si prendevano 4 fichi secchi li
si apriva e li si allargava per la loro lunghezza; ogni coppia di fichi doveva
essere posta in modo da formare una croce. Un volta formata la croce la vi si
posizionavano 4 gherigli di noci e 4 pezzetti di buccia di cedro; la coppia di
fichi predisposta a croce e riempita con gli ingredienti indicati veniva
ricoperta da un’altra coppia di fichi predisposta a sua volta a croce;
- “pracchiellә” erano grossi
fichi spaccati.
I fichi preparati nelle varie ricette indicate poi
venivano infornati a 150° per circa 25/30 minuti fino a quando non
raggiungevano il colore della cannella.
La conservazione
I fichi, una volta lavorati, venivano riposti in una
grossa cassa in legno (u casciunә di’ fichә) dove si
disponevano in vari comparti tra foglie di alloro.
La cassa o "casciunә” era chiuso a chiave dalla
padrona di casa che ne regolava i consumi, anche al fine di far
persistere a riserva fino a primavera inoltrata. Con il caldo i fichi
erano soggetti ad avariarsi, quindi, all’arrivo del primo giorno del mese di
maggio venivano distribuiti per essere completamente consumati. Si dice che
maggio era “u misi di ciucci”, ossia il mese nel quale gli asini ed i muli
erano particolarmente rabbiosi tanto da attaccare l’uomo con i morsi: una volta
si diceva che mangiare i fichi il primo maggio preservava da questi attacchi.
Ogniqualvolta che la dispensa si apriva emanava un gradevolissimo odore di
fichi e alloro. Naturalmente in famiglia venivano distribuiti i fichi di
semplice preparazione, mentre “i crucettә” che erano più pregiate erano
riservati agli ospiti in visita.
Nel comprensorio della “Riviera dei Cedri”, come pure
in Calabria e altre regioni del meridione d’Italia la tradizione di preparare i
fichi si rinnova annualmente e prima delle festività natalizie, nell’ambito
delle quali, assieme ad altre leccornie, i fichi rappresentano una vera e
propria tipicità dei nostri luoghi.
Bibliografia: Scalea per voi, di Antonio Cotrone, Editore Salviati Milano, 1991.
Documento curato da Francesco Casella, presidente
dell’associazione culturale “Carnem Levare".
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